Quando Primo Levi definiva il nazismo il coronamento del fascismo
Il pensiero di Primo Levi espresso durante un’intervista degli anni ’70
Spesso qualcuno è portato a pensare che le stragi perpetrate nei campi di concentramento siano una colpa da imputare quasi esclusivamente al regime nazista. In fin dei conti, alcuni pensano, la maggior parte dei lager non erano in Italia, e le leggi razziali non furono promulgate dai fascisti, ma dal regime hitleriano. Come a cercare una sorta di alibi per le atrocità della Shoa, alcuni ritengono che il fascismo sia semplicemente stato ‘trascinato’ in questo buco nero. In un’intervista rilasciata alla Rai negli anni ’70, Primo Levi, in maniera molto chiara, capovolge questo pensiero, affermando che, in realtà gli stermini nazisti non sono altro che il risultato finale di un percorso di morte iniziato dal fascismo.
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«Pochissimi oggi riescono a ricostruire e ricollegare quel filo conduttore che lega le squadre fasciste con i campi di concentramento in Germania»
«E’ probabile che il ricordo di Auschwitz in Italia sia meno pesante che in Germania. Questo può essere spiegato per una ragione geografica, forse. Auschwitz e gli altri campi non erano in Italia, ma in Germania o Polonia. Ci si trincera dietro ad un ‘queste cose le hanno fatte loro, non noi’. Ma le abbiamo cominciate noi». Come è ben noto Mussolini prende il potere nel 1922, 11 anni prima che Hitler diventasse Führer del Terzo Reich. Hitler guardava con ammirazione ed era ispirato dalla politica e dalla ideologia fascista. «Il nazismo in Germania è stata la metastasi di un tumore che era prima di tutto diffuso in Italia» continua Levi «un tumore che ha condotto vicino alla morte prima la Germania e poi l’Europa. Voglio che tutti anche coloro che non sono stati in un lager o in un campo di concentramento ricordassero e sapessero cos’è successo. Voglio che tutti si rendano conto che il Lager era la realizzazione del fascismo, il fascismo integrato, completato. Quello che in Italia mancava, il suo coronamento».
La percezione della Shoah in Germania subito dopo la fine della II Guerra Mondiale
Dopo essere sopravvissuto al campo di Auschwitz, Levi ritornò a Torino, dove scrisse quelli che sarebbero stati i primi memoriali di un sopravvissuto alla Shoah. Parallelamente, ricominciò anche a lavorare come chimico per la Siva una ditta di vernici. Questo lavoro lo portava a viaggiare spesso in Germania poichè era molto difficile, all’epoca, trovare un italiano che parlasse tedesco. «Io ho imparato il tedesco nel campo, parlo un tedesco ‘da caserma’. I tedeschi percepiscono che io parlo un linguaggio più ‘strano’. Mi chiedono ‘come mai, dottor Levi, lei parla tedesco?’ e io rispondo sempre ‘l’ho imparato ad Auschwitz’ . A questo punto il discorso si tronca. Il mio interlocutore, che di solito non conosco, è solo un cliente, un partner d’affari, tace. E’ molto di cattivo gusto parlare in Germania di queste cose, è una indelicatezza, una scortesia, per questo io lo faccio molto volentieri, per vedere le reazioni dall’altra parte. Alle volte mi rispondono che ‘la Germania di oggi è diversa’. Ma non mi è mai successo di trovare un tedesco che dichiarasse tranquillamente ‘ero un nazista e non lo sono più’, oppure ‘ero un nazista e lo sono ancora’. Come se l’intero passato della Germania fosse stato cancellato con un gigantesco colpo di spugna.
Le parole di Primo Levi, anche se pronunciate quasi cinquant’anni fa, sono drammaticamente attuali
In questi anni abbiamo assistito ad una preoccupante ascesa di partiti politici che possono essere considerati molto vicini alle ideologie fasciste, con posizioni xenofobe e ultraconservatrici. Questo non solo in Italia, ma anche in altri paesi europei e oltreoceano. La coalizione tra i maggiori partiti europei sovranisti e a volte negazionisti per le elezioni europee del 2019 o la vittoria di personaggi come Trump in USA e Bolsonaro in Brasile sono segnali che non devono assolutamente essere sottovalutati. Le parole pronunciate da Levi durante l’intervista, trasposte ai nostri giorni, devono farci riflettere sul pericolo a cui stiamo andando incontro. Alla domanda «Lei pensa che siano di nuovo possibili queste atrocità?» Levi risponde «oggi come oggi certamente no. Ma dove un fascismo, un nuovo verbo come quello che amano i nuovi fascisti in Italia che propone una filosofia basata sul ‘non siamo tutti uguali’, ‘non abbiamo tutti gli stessi diritti’ o ‘alcuni hanno diritti e altri no’, dove questo verbo attecchisce, alla fine c’è il lager. Questo io lo so con precisione».
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Immagine di copertina: Primo Levi negli anni ’60 – Pubblico Dominio