La varietà della cucina berlinese inizia con una Linsensuppe a Kotti. Fame di vita, d’amore e di qualunque cosa riempia stomaco e anima.
Dal turco alla Schnitzel passando per Miss Saigon: la variegata offerta gastronomica di Berlino va al di là di odori ed aromi come racconta la Principessa Astronauta
Devo camminare che me lo ricorda pure il mio iPhone che ingrasso solo a respirare e io respiro tantissimo. Eppure, anni fa mi sembra respirassi molto meno. Cammino per addomesticare i morsi della fame del mio spirito e del mio stomaco in un mondo senza gravità disperso nello spazio siderale. Il mio viaggio spirito-gastronomico inizia da Berlino e da me che cammino senza meta da Kottbusser Tor verso il chissà dove infinito, perché questa città è davvero infinita.
Berlino si estende per 891,8 km quadrati contro i 783,8 di New York che però ha quasi 3 milioni di abitanti in più. La mia Torino invece si attesta ad un modestissimo130,2 km quadrati che fa di lei un monolocale, ma con un’incantevole vista sulle Alpi.
Sono una provinciale dispersa in una megalopoli di 5,1 milioni di abitanti, e ammetto senza tante lamentele la mia condizione.
Certo che ho viaggiato, ma la foto a furor di Facebook con la scimmia sacra che mi caga su una spalla davanti ad un tempio in Indonesia, io non ce l’ho. Sono una provinciale se volete, perché io non l’ho visto tutto il mondo e poi di socializzare con scimmie piene di parassiti, francamente non ne sento nessun bisogno. Alle nuove mete di massa, ho sempre preferito la mia vecchia Europa anche perché mi piace mangiare e alla fine, nel vecchio continente su questo siamo imbattibili.
Berlino non offre una varietà di piatti tipici da farti rovesciare gli occhi, ma è piena di ristorantini con cucine da tutto il mondo e se ti butta bene, ci mangerai discretamente spendendo poco.
Sono a Kottbusser Tor detta Kotti, è molto tardi e fa tanto freddo che ti vengono le stigmate senza manifesta improvvisa santità.
È tardi e si gela ma il ristorante turco dalle parti della Oranienstrasse è ancora aperto. Il mio ospite berlinese non ama quel posto per questioni legate a politica e gentrificazione e non lo nominerò, ma è l’una di notte e devo cenare o morirò stecchita per il freddo e la fame come la Piccola Fiammiferaia di Andersen. Una scena penosa resa oltremodo imbarazzante dall’età della fiammiferaia in oggetto.
Passo direttamente alle suppliche senza neanche accendere un cerino e lui, mosso a pietà, cede ed entriamo.
Attira la mia attenzione sul menù la foto della Linsensuppe turca e la ordino. Lenticchie rosse, cipolla, aglio, brodo di verdura e spezie orientali che il suo profumo scalda anche il cuore.
Ogni cucchiaio è una carezza al palato talmente è velluto. È talmente buona che mi verrebbe da ordinarne altre 5 scodelle, ma poi mi ricordo che il mio ospite abita al quarto piano e 1/2 senza ascensore. Sì, a Berlino ci sono anche dei mezzi piani che ti fanno venire male alle ginocchia già solo per lo sconforto di sapere che esistono.
Il sapore avvolgente di questa zuppa, mi ha colpita al punto che ho cercato la sua ricetta sul web. In verità ne ho trovate molte versioni, anche troppe, così alla fine ho optato per una versione non originale ma che vi consiglio di provare. Io la preparo con questa ricetta.
Questo viaggio continua con me che cammino sola per Berlino, annusando l’aria gelida che comincia però a saper un po’ di primavera. Cammino e nei ristoranti c’è gente che mangia a tutte le ore, perché i tedeschi mangiano secondo natura che poi significa mangiare quando hai fame ed io mangerei sempre perché sono perennemente affamata.
Mangiare e vivere secondo natura senza doversi piegare a convenzioni mascherate da modelli comportamentali e regole di igiene alimentare. Non anarchia, ma autarchia dell’autosufficienza spirituale di chi riesce ad affidarsi coraggiosamente a se stesso.
Bastare a se stessi come i gatti.
scrive la mia adorata scrittrice Margherita Oggero ed io sono una gatta affamata che rifiuta confortanti crocchette per uscire sui tetti a cercare qualcosa da mangiare.
D’altronde viaggiare senza appetito è come restare a casa.
In aereo però non mangio volentieri perché non posso distrarmi, che devo tenere d’occhio il suono dei motori e umore delle hostess. Ho paura ma una paura sabauda: impercettibile, impalpabile, composta. Nessuno lo direbbe mai, ma me la faccio abbastanza sotto e non vedo l’ora atterri sta supposta di ferraglia con le ali. Gli aerei restano il mezzo di trasporto più sicuro, ma una volta che il portellone è stato chiuso, indietro non puoi più tornare.
Allora eccola qua la paura del “ci ho ripensato, fatemi scendere vi prego”, perché anche i gatti a volte hanno paura di non poter più ritornare.
Cammino senza un posto dove andare, che è di nuovo inverno pieno che al nord il tempo cambia in fretta con un vento che ti affetta la faccia e poi magari pure uno scroscio di pioggia perché questa città ha qualcosa di indefinito, di etereo che mi assomiglia. Emotivamente evanescente, cammino per Berlino l’indefinita capitale di tutto quello che puoi scegliere di essere. Cammino sola verso un punto fermo qualunque, verso qualunque cosa possa mettere ordine ed identificazione alla realtà: la mia.
Comunque non è che se ci sono nuvole sempre piove, e alla fine questa città mi sembra casa e io in casa sono felice e quando sono felice mangio.
Ho fame, non importa di cosa: fame di vita, fame d’amore, di qualunque cosa mi riempia stomaco e anima.
La Schitzel gigante del Louis Cafè Restaurant a Neukölln è una sfida che da soli è quasi impossibile portare a termine viste le sue dimensioni. Una bestia di cotoletta di bovino impanata con sotto pure le patate al forno, appostate lì sotto per darti il colpo di grazia. Lo devi dividere con qualcuno per forza il cotolettone o ti fai fare un doggy bag da condividere con tutto il condominio. Buona però, fritta ma fritta a temperatura perfetta da mantenere intatto il sapore della carne e riuscire a non fartela digerire in tempi biblici.
La Schnitzel, insieme al Curry wurst e la birra, è la banalizzazione di quello che i turisti si aspettano da Berlino, ma Berlino è centinaia di città di tutti i continenti tutti insieme e allora cambia anche la stagione e adesso è estate.
Pulisco casa, faccio una lavatrice e poi esco che ogni martedì e venerdì, alle 11 inizia il mercato turco di Kreuzberg lungo il canale sulla Maybachufer.
In estate come in inverno, lì ci trovi volti del mondo che vendono e servono molto di quello che offre il mondo.
I food truck sono numerosi e uno di quelli che devi sempre fare la fila, serve il borek che è una torta salata turca a base di formaggio di capra con spinaci chiusa in una sfoglia fatta con lo yogurt nell’impasto. Una bomba ma di farmi una ordinata, teutonica coda oggi non ne ho nessuna voglia.
Faccio la spesa al mercato nella parte che dà le spalle al canale che lì ci sono i contadini. La verdura costa una fucilata in pieno petto e al banco dove vado solitamente la proprietaria è simpatica come un dito in un occhio.
Ogni mio sforzo per parlare in tedesco viene rimbalzato dal suo sguardo per nulla benevolo, così mi prendo male e compro della verdura mai vista a Torino nella speranza sia almeno commestibile.
A questo banco ci vado principalmente perché sono un’autolesionista e poi perché gli ortaggi sono sempre freschi, gustosi e sani.
Fa caldo anche qui al nord che il clima è cambiato ma comunque è luglio, ho fame e vado a sedermi in un piccolo ristorante vietnamita dove ordino un Buddha bowl con riso selvatico e verdure che mi viene servito su una foglia di banano. Un the ghiacciato senza zucchero fatto in casa, aromatizzato con lemon grass e radice fresca di zenzero. Il ristorante ha il titolo di un film “Miss Saigon” ed è una piccola oasi di pace nel casino della Skalitzerstraße.
Un angolo di gentilezza in una delle parti più crudeli di Berlino.
La crudeltà dell’accampamento dei disperati sotto la Görlitzer Banhnhof, quella delle risse tra pusher e le camionette cariche di poliziotti che una pattuglia qui non basta.
Ci sono tornata altre volte da Miss Saigon, perché si mangia bene e senza spendere troppo e perché sono fermamente convinta che la gentilezza anche di un solo singolo essere che ti porge il piatto che hai ordinato, è parte della medicina che salverà mondo.
Grazie, rispondo con un sorriso che il cibo è un dono anche se lo paghi perché le mani che lo cucinano, sono sempre mosse da un cuore.
*La Principessa Astronata è il progetto di Roberta Delaude, blogger torinese “innamorata di Berlino prima e dopo la caduta del Muro, ex cantante, ex ristoratrice e con una grande passione per la cultura underground e la enogastronomia”.
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Photo Cover: © Andreas Lehner – Berlin Kreuzberg Kottbusser Tor CC 2.0