Gli amori imperfetti, gli amori eterni
Non si poteva non nutrire curiosità nei confronti di La vita di Adele, ultimo film del regista tunisino Abdellatif Kechiche? Dopo aver ascoltato critiche di ogni sorta, che insistevano sulle lunghissime e, a detta di molti, eccessive scene di sesso tra le due protagoniste, mi sarei aspettata di andare al cinema per trovarmi di fronte al solito film su una ragazza che scopre di essere omosessuale. Invece non potevo essere più in errore di così. Quello che mi ha attesa quella mattina è stata una bellissima e struggente storia d’ amore e di formazione, talmente universale da farmi esplodere in un pianto ininterrotto, riportandomi indietro alle mie vicissitudini sentimentali e rendendomi profondamente partecipe delle sofferenze di Adele.
Perché il vero soggetto di questo film è la vita, la vita che separa gli amori più sinceri ed autentici. Perché i veri amori sono sempre imperfetti, e sono quegli stessi amori che, nonostante le rotture e gli allontanamenti, continuano coraggiosi ad occupare la nostra anima. Questa è la storia di una splendida donna, che ha il viso straordinario di Adèle Exarchopoulos, che la vita la sente davvero su di sè, che la divora e che resta fedele al suo sentimento totalizzante.
La storia si apre su una bellissima scena ambientata a scuola, durante l’ora di letteratura francese, dove Adele ed i suoi compagni di classe leggono La vita di Marianna di Marivaux (citazione scelta non a caso, dato che lo scrittore francese aveva particolarmente a cuore il tema dell’innamoramento) e già da subito la telecamera insiste, in maniera delicata e naturale, sul volto di Adele, diciassettenne alle prese con i primi turbamenti del cuore ed i mille, importanti interrogativi sull´esistenza.
Questa ragazza francese, figlia di una famiglia di proletari delle periferie di Lille, possiede una travolgente ansia di scoprire la vita ed una sensualità messa in risalto dalle continue inquadrature sui dettagli del suo corpo, la bella bocca, il corpo statuario, mentre la telecamera la segue in ogni attività quotidianità, quando dorme, quando pranza insieme ai genitori, sottolineando la sua voracità nell’ingurgitare qualsiasi cosa (chiara metafora della sua vitalità), qualsiasi cosa tranne le ostriche. Perché Adele alle ostriche preferisce gli spaghetti, al senso comune, che vuole che una ragazza si innamori per forza di un ragazzo, lei preferisce la spontaneità, preferisce il blu caldo dei capelli di Emma, interpretata da Lea Seydoux. Ed è qui che inizia il capitolo più importante della sua giovane vita, l’incontro con Emma, studentessa di arte, che la introduce in questo mondo sconosciuto dei sentimenti e della passione.
L’attrazione, nata immediatamente tra le due ragazze, esplode ben presto in una passione irresistibile, che le porta a scegliere di vivere insieme.
Gli anni passano e Adele, ormai donna, è ancora nello stesso punto in cui l’avevamo lasciata, innamorata della sua Emma, che la utilizza come musa per i suoi ritratti, dopo averla amata a lungo.
Ma mentre i loro corpi continuano sempre e irrimediabilmente ad attrarsi, le loro diversità le allontanano, a tal punto che Emma non riesce a comprendere le scelte di vita della sua amata. Perché, come detto all’inizio, questo è anche un film di formazione, e Adele scopre col tempo di voler diventare maestra, di voler trasmettere ai bambini tutta la bellezza dell’esistenza. Emma invece è ormai un’artista di successo, una donna che trova la sua identità nell’arte e nella socialità, nelle sue esposizioni e nelle chiacchierate intellettuali con gli amici, chiacchierate dalle quali Adele sarà sempre esclusa, e quindi vede la scelta della compagna come una scelta poco ambiziosa. Tutte queste divergenze porteranno ad una serie di vicissitudini che non osiamo rivelare.
Ciò che davvero conta è capire che Adele, nonostante la sofferenza e le mille lacrime consumate mentre contempla la sua solitudine, in realtà è l´unica ad aver compreso il vero significato dell´esistenza, poiché comprende che scegliere l’oblio dei sentimenti non è l’unico modo per sopravvivere agli amori che siamo costretti a lasciar andare, ma, anzi, che la bellezza e l’essenza della vita stanno proprio nel lasciarsi andare fino in fondo a qualsiasi sfumatura che essa offre. In questo modo accettare il dolore, imparare a conviverci e trattenere testardamente i ricordi, assumono un valore inestimabile e diventano chiavi di autentica crescita interiore e piena consapevolezza di sé.
Mentre guardiamo questo capolavoro, per il quale il regista tunisino è stato giustamente premiato con la Palma d’oro a Cannes, respiriamo la vita, rappresentata senza abbellimenti ma allo stesso tempo con un tocco di poesia e di delicatezza che non può non commuovere.
Il merito va anche alle straordinarie protagoniste, in particolar modo ad Adèle Exarchopoulos, alla sua prima vera esperienza cinematografica.
Per sintetizzare questo film, non posso che lasciare la parola alla giornalista Federica Pontiggia che è riuscita, secondo me, a racchiudere il vero significato di questo capolavoro in un’unica frase: “Ora sappiamo che la vita non è un film, ma questo film è la vita”.
di Laura Federico
uscita nelle sale cinematografiche tedesche: 19 dicembre
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