Where Love Is Illegal: a Berlino i diritti LGBT in mostra col progetto fotografico di Robin Hammond
«Mi hanno messo delle buste di stoffa nere sulla testa. Hanno iniziato a colpirmi, a prendermi a calci. Non avrei mai saputo da dove arrivavano quelle botte. Stavano facendo lo stesso con gli altri ragazzi. Potevamo sentirci l’un l’altro mentre venivamo torturati. Agli occhi di tutti sembro una persona “normale”, ma il silenzio vive ormai dentro di me, assieme alla paura e alla disperazione, di cui non riesco più a liberarmi». Così racconta uno dei protagonisti della mostra fotografica Where Love Is Illegal, che resterà aperta fino al 16 luglio alla Jarvis Dooney Galerie di Berlino, in Linienstrasse 116. Realizzata dal pluripremiato fotografo e attivista per i diritti umani Robin Hammond, si tratta di una serie di ritratti di uomini e donne vittime di minacce, abusi, torture subite per il solo fatto di dichiararsi omosessuali. In occasione del vernissage, tenutosi il 17 giugno alle ore 19 nella stessa galleria, abbiamo intervistato l’autore del progetto, interamente no-profit e con un importante successo di pubblico, anche sul web.
Il progetto. «Nel 2013 stavo portando avanti dei reportage per il National Geographic a Lagos, una città nella zona sud-occidentale della Nigeria, quando lessi di cinque uomini arrestati a nord del Paese perché omosessuali e minacciati di condanna a morte se non avessero rinnegato la loro “deviazione”. Così li ho raggiunti per conoscere da vicino ciò che stava succedendo. Mi sono sentito subito coinvolto nelle loro storie, hanno smosso qualcosa dentro di me e ho pensato che avrei dovuto necessariamente realizzare un progetto per farle conoscere a più persone possibili, perché spesso la percezione che abbiamo di un determinato fenomeno non corrisponde esattamente a ciò che accade in realtà. Con le foto scattate e le testimonianze raccolte in quei giorni, mi sono candidato per il Getty Grant for Good, e siamo riusciti a vincere 20 mila dollari per il progetto, che poi si è esteso ad altri sette Paesi: Uganda, Camerun, Malesia, Russia, Libano e Siria. È ormai da ben dieci anni che mi occupo di diritti civili e dallo stesso periodo vivo in Africa. Credo che l’aumento dell’omofobia in certe regioni del continente sia andato di pari passo con l’incremento delle lotte per i diritti LGBT, che negli ultimi anni stanno davvero cercando di dare una svolta al futuro del proprio Paese. Personalmente ho deciso di prestarmi a questa causa, perché mi ci sono immerso pienamente e ho avuto l’occasione di poter assistere come testimone ai cambiamenti in corso».
Le storie. «Prima della partenza ho contattato, per ogni Paese scelto, diverse piccole organizzazioni locali che si occupano di difendere i diritti LGBT e attraverso loro sono venuto a contatto con i protagonisti delle mie foto. Per me era molto importante lavorare con persone di cui si fidassero, in modo da avere le reazioni più spontanee e naturali possibili. Diversi di loro hanno preferito non mostrare i loro volti, non volevano essere riconosciuti, altri invece hanno voluto guardare negli occhi gli spettatori, come a volerli coinvolgere direttamente. C’è Gad, omosessuale siriano, che è stato arrestato con altri 26 ragazzi in un bagno pubblico in Libano e successivamente torturato e lasciato in prigione per 28 giorni, nell’attesa della sentenza finale del processo “per omosessualità”. Secondo l’articolo 534 del codice penale libanese, infatti, sono proibite tutte le relazioni sessuali che “contraddicono le leggi della natura” e sono punibili fino a un anno di carcere. C’è Jessie, donna transgender che ora vive in un campo profughi palestinese del Libano, dopo essere scappata da casa perché suo fratello e suo padre hanno tentato di ucciderla più volte per il suo orientamento sessuale. Ci sono poi due ragazze russe, che hanno preferito non pubblicare i loro nomi per timore di ritorsioni da parte del governo, aggredite da due uomini mentre, prese per mano, tornavano a casa dopo un concerto. Il primo le malmenava, il secondo filmava la scena con uno smartphone, mentre gridava “No LGBT!”, minacciandole di morte nel caso in cui le avesse incontrate nuovamente».
L’attualità e i numeri. «Le discriminazioni continuano in tutti i Paesi del mondo. Basti pensare che 2,8 miliardi di persone vivono in Paesi dove essere omosessuale è punibile con la reclusione, le frustate o la morte, rispetto a 1,3 miliardi di persone che vivono in Paesi in cui è presente una qualche forma di protezione giuridica dalla discriminazione e 780 milioni di persone che sono invece libere di sposarsi senza discriminazioni di questo genere. Ma questo non significa che tutti siano d’accordo. Se si pensa al massacro al night club Pulse, nella città di Orlando, che si è lasciato alle spalle quasi 50 morti, è evidente che anche in un Paese democratico come gli Stati Uniti, si possono trovare accaniti oppositori dell’omosessualità per principio. Per questo porto avanti il mio progetto, perché penso che la lotta per i diritti LGBT debba essere ancora compresa prima che accettata da molti».
Berlino. «Sono stato a Berlino tre volte, l’ultima è stata sei mesi fa, quindi immagino che nel frattempo sia cambiato qualcosa [sorride]. È una città molto aperta, in continua evoluzione, al passo coi tempi, non convenzionale, e che posso dire sposi perfettamente l’idea del mio progetto. Qui ognuno è libero di sentirsi quello che gli pare, basta farsi un giro nelle metro, nei club o per strada per capire di cosa sto parlando. I diritti per gli omosessuali non sono un “vero” problema dal punto di vista giuridico né sociale. È vero anche che essendo ormai una metropoli internazionale, c’è anche chi non la pensa in questo modo. In ogni caso ci tenevo a passare di qua per esporre il mio progetto, proprio perché credo di trovarmi nel posto giusto al momento giusto».
Foto di copertina © Jarvis Dooney Galerie